Volendo esporre un quadro concettuale e metodologico di ciò che noi, oggi, intendiamo per Orff-Schulwerk, possiamo sintetizzarlo come segue:
a) alla musica ci si accosta facendo musica e non cominciando con l’imparare le note, le quali non sono che la registrazione grafica delle nostre invenzioni sonore, e come tali ne sono una conseguenza e non una premessa; il primo apprendimento della musica, incluso l’avvio alla lettura e alla scrittura della notazione, scaturisce sempre dall’esperienza musicale e nasce quindi da un approccio esplorativo e sperimentale, non da premesse astratte e teoriche;
b) la musica, soprattutto nella fase del primo apprendimento, non è separabile dalle altre attività espressive (linguaggio, gesto, immagine, danza); tali attività si intersecano, si associano, si confrontano, mutuano spunti l’una dall’altra, trovando la massima coesione nell’approccio fantastico e creativo e impiegando come materiale tutto ciò che appartiene al loro potenziale comunicativo: suono corporeo, verbale, vocale e strumentale, linguaggio e canto, gesto, passo, movenza, mimica; il tutto confluisce in modelli di performance (drammatizzazione, pantomina, coreografia, teatro-musica) che rappresentano l’esito naturale della pedagogia orffiana e che vanno intesi non già come riproduzione di eventi preordinati ma come rappresentazione organizzata della propria esperienza artistica, individuale e collettiva, oltre che come dimostrazione delle competenze contestualmente acquisite;
c) la pratica dell’improvvisazione e della composizione elementari, l’elaborazione in prima persona di strutture e forme sonore adeguate via via ai diversi stadi dell’evoluzione psicomotoria, attuate mediante sperimentate tecniche metodologiche e col sussidio di uno strumentario didattico concepito ad hoc (lo strumentario Orff), perfettamente integrabile con strumenti d’arte (archi, chitarre, fiati) e con strumenti d’uso (tastiera elettronica, basso elettrico) restituisce al bambino il suo ruolo di effettivo protagonista, soggetto e non oggetto dell’azione educativa;
d) l’attività musicale è collettiva e mira, oltre che a tradurre l’esperienza musicale in apprendimento, a contribuire alla formazione complessiva della persona, alla sua socializzazione, allo sviluppo delle sue capacità intellettive e creative, all’allenamento ed all’affinamento delle sue facoltà psico-motorie, e diventa, in tale prospettiva, un mezzo oltre che uno scopo;
e) da ogni esperienza musicale discendono le adeguate fasi di riflessione estetica, formale e storica, le prime acquisizioni tecnico-esecutive e le necessarie deduzioni di stampo teorico-razionale, sempre nel rispetto del momento evolutivo degli allievi con cui si lavora; ciò conduce ad una conoscenza molto ben interiorizzata – in quanto personalmente sperimentata – non solo delle diverse musiche possibili ma del fenomeno musicale in sè.
Volendo esprimere i medesimi contenuti in forma più assiomatica, possiamo indicare i presupposti della pedagogia orffiana mediante le seguenti proposizioni “a contrasto”:
– la concretezza dell’esperienza musicale (contro le ancor oggi abituali astrazioni didattiche);
– la sua stretta fusione con i mezzi espressivi della voce e del corpo (contro la divisione in specificità di genere troppo rigide);
– la spinta all’elaborazione creativa personale, attraverso l’improvvisazione e la composizione elementare (invece della mera riproduzione di musiche pronte);
– l’elementarità (cioè¨ la prototipicità ) dei modelli musicali, e con ciò l’ampia adozione di materiali popolari e multietnici, l’uso di bordoni, ostinati, delle pentafonie e della modalità (contro l’uso di musiche colte semplificate ad uso infantile o a carattere armonico-tonale troppo schematico e assolutistico);
– il percorso dall’esperienza alla conoscenza musicale, e non viceversa: quindi l’uso di musiche diverse comprese quelle dell’esperienza quotidiana: il rock, il popular, ecc. (contro la restrizione dell’apprendimento musicale all’area e alle regole della musica ‘colta’);
– l’utilizzo di strumenti d’uso accessibili, a produzione sonora diretta, adatti ad un rapporto corporeo immediato e coinvolgente (invece che strumenti tecnologicamente evoluti o a produzione sonora mediata e complessa);
– lo sbocco naturale di tutto questo in pratica collettiva e forme di drammatizzazione scenico-musicale (piuttosto che l’esercitazione solitaria e l’esibizione solistica).